L’interruzione – Le Moire

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A Golden Thread – John Strudwick, 1885

Nella mitologia greca, le tre Moire (o Parche) erano responsabili della recisione del filo della vita. Cloto tesseva il filo, Lachesi lo misurava e infine Atropo, la più spietata delle tre, lo recideva.

Il numero tre ricorre sempre nella dimensione femminile arcaica, e come altre volte ci è capitato di menzionare, esso rispecchia le tre fasi lunari: luna nuova, piena e calante corrispondono rispettivamente alla dea vergine di primavera, alla dea fertile dell’estate e alla dea sfiorente e anziana dell’autunno.

Ritornando però alla metafora del filo, possiamo sostanzialmente incontrare tre fasi durante lo svolgimento di una vita umana: Cloto la tessitrice è di fatto la spinta creativa e fertile dell’età più giovanile, quando la vita emerge dal fuso e inizia ad allungarsi; Lachesi la misuratrice rappresenta il peso dell’età più matura, gli anni delle passioni controllate; e infine Atropo è “colei che non si può evitare”, dunque colei che prima o poi inesorabilmente giunge ad interrompere l’appartenenza dell’individuo al mondo.

Non sorprende infatti che secondo una versione del mito, le tre Moire sarebbero nate per partenogenesi dalla dea Necessità, la nostra celebre Ananke alle cui regole di vita e di morte persino gli déi tutti devono ubbidire.

Il senso che sta dunque dietro alla scansione ciclica, nel mondo greco non si sottrae al grande mistero filosofico dell’emersione nella vita e della scomparsa nella morte degli enti di natura: essi sembrano provenire dal Nulla e andare nel Nulla, attraversando quell’orizzonte degli eventi che è la realtà diveniente.

Ma se allora tutti gli elementi di Natura vanno e vengono, insomma se si alternano ciclicamente entro le rigide leggi del cosmo, perché mai per l’uomo dovrebbe esser diverso?

E infatti l’ineluttabilità dell’umano cadere nel Nulla è proprio scandito da una interruzione: il filo della vita viene reciso. Non si realizza dunque alcun tipo di compimento, non vi è alcuna forma di speranza ultraterrena, non vi è desiderio di sopravvivere alla vita dell’universo. Sentire di aver fatto parte di quella realtà diveniente rende la morte dignitosa. Ogni uomo fa insomma il proprio corso.

Di certo risulta interessante approfondire questa dimensione spiccatamente greca, poiché l’uomo moderno non sembra andar d’accordo con la morte. Non sembra voler prendere sul serio la domanda angosciante sulla sua incomprensibile sparizione dalla scena.

L’uomo moderno vuole durare, ma soprattutto desidera che la sua immagine gli sopravviva.

Più avanti parleremo del significato delle icone e di come il concetto di immagine permanente del soggetto in realtà si separi dal suo naturale invecchiamento.

Simone

[Ho parlato per la prima volta delle tre fasi della vita in questo articolo: Il tempo ciclico – Dea Madre

Ho parlato di Necessità in questo articolo: Il tempo lineare – Tradizione giudaico/cristiana]

Il fuoco – Prometeo

Prometeo e il fuoco
Prometheus als Feuerbringer auf einem Gemälde -Heinrich Friedrich Füger, 1817

Parlando dell’origine del linguaggio, per il momento abbiamo provato a ipotizzare da un punto di vista storico-evolutivo, come la tecnica possa essersi generata.

Nulla però è stato ancora detto sull’origine mitica che la cultura greca le attribuisce.
Protagonisti allora di una fra le molteplici versioni del racconto sono due fratelli, appartenenti alla dinastia dei titani (attorno alla quale abbiamo già speso numerose parole): Epimeteo e Prometeo.

Ad Epimeteo (letteralmente: colui che vede dopo), Zeus chiede di distribuire le diverse virtù e qualità agli esseri viventi presenti sulla Terra. Lasciati tuttavia gli uomini per ultimi, Epimeteo si ritrova a non possedere alcun dono da consegnare all’umanità.

Già a questo punto, possiamo concederci una breve riflessione sulle differenze di natura fra animali e uomini.

Per i greci, laddove gli animali sono perfettamente allineati alle leggi di natura e sono dunque adatti al mondo naturale, l’uomo risulta invece sprovvisto di caratteri che gli concedano di vivere secondo natura. Egli è infatti debole e inadeguato.

Se ci pensiamo un attimo, questa visione è molto attuale. Ad esempio: se ci capita di aver fame, noi apriamo un frigorifero. Se esso risulta sprovvisto di viveri, allora ci rechiamo al primo supermercato disponibile.
Di certo non esploriamo una foresta alla ricerca di prede oppure non andiamo a raccogliere delle verdure o della frutta nel sottobosco o nei campi.

È doloroso riconoscerlo, ma non saremmo capaci di provvedere al nostro fabbisogno giornaliero in quel modo. In breve tempo, se l’umanità si ritrovasse all’improvviso obbligata ad un ritorno forzato al sistema di natura, soccomberebbe.

Risalendo al mito, questo è il motivo per il quale l’uomo deve emergere dalla natura, fornirsi dello strumento. In effetti, Prometeo (letteralmente: colui che vede prima) decide di rubare il fuoco divino della conoscenza, dotando dunque l’uomo della tecnica.

Ecco, è forse in questo momento che emerge il primo vero conflitto fra la Necessità (della quale già abbiam detto qualcosa) e la Tecnica. La Necessità (o Ananke) è infatti ancora questo senso di necessaria ineluttabilità di tutte le cose del Cosmo, al quale l’uomo (e Prometeo) credono di potersi sottrarre, per mezzo della tecnica.

Questa interessante sfida antropocentrica al ripetersi ciclico del mondo ha però esiti nefasti. Prometeo viene infatti punito da Zeus e incatenato sulle rupi della Scizia.

Sebbene dunque la tecnica, all’interno dei confini della verità sul mondo, non possa effettivamente salvare l’uomo (cioè Prometeo) dal suo destino, allo stesso tempo l’atto di contravvenire alle leggi divine, è per la prima volta una concreta messa in discussione di tali leggi. E dunque della verità stessa del racconto mitico.

Pertanto già la cultura greca, a partire dal Prometeo incatenato di Eschilo, comincia a considerare l’uomo (seppur nei confini della sua appartenenza alla necessità cosmica delle cose) quale soggetto in grado di ricercare una verità che sia svincolata dai limiti mitici: una verità appunto filosofica.

L’uomo inizia ad intraprendere quel viaggio che vede come principio l’amore per il sapere.

[Per le fonti, è possibile rifarsi a La filosofia antica e medioevale di Emanuele Severino, BUR Rizzoli.
Per la lettura integrale del Prometeo incatenato: Il teatro greco – Tragedie, BUR Rizzoli.

Ho parlato dell’origine del linguaggio in questo articolo: L’uomo e la storia – La nascita del linguaggio

Ho parlato per la prima volta di Titani (ovvero delle sette potenze planetarie) in questo articolo: Gli astri erranti – Eurinome

Ho parlato della Necessità in questo articolo: Il tempo lineare – Tradizione giudaico/cristiana]

Il terrore del padre – Crono

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Saturno devorando a su hijo, Francisco de Goya –  1821-23Museo del Prado, Madrid

La vittoria di Crono sul padre Urano, non concede in realtà al figlio di aspirare ad un ruolo genitoriale migliore. Al contrario, udendo una profezia in base alla quale uno dei suoi figli lo avrebbe detronizzato, Crono seguita a divorarli uno dopo l’altro.

Abbiamo già parlato di quanto sia importante la morte simbolica del padre. Ma cosa accade, se egli non vuol farsi da parte?

Ancora una volta è bene soffermarsi sul valore educativo di un messaggio del genere. Il limite di Crono, ossia il limite del padre, è sempre quello di volere che il figlio diventi esattamente ciò che lui era. Divorando i figli, Crono non desidera altro che la sopravvivenza della sua immagine nelle generazioni successive.
Egli dunque prova quel terrore metafisico di non poter sopravvivere alla propria generazione.

E qui giunge davvero quell’imperativo di fronte al quale nessun genitore dovrebbe sottrarsi: esiste la possibilità che i figli non rispecchino quanto il genitore si aspetta.

Ora, crearsi delle aspettative sui propri figli è il male.
Aspettativa in questo caso è sinonimo di pregiudizio: significa farsi un’idea scorretta attorno all’essenza di un altro, solo perché si decide di considerare esclusivamente il proprio paesaggio.

Questo genere di atteggiamento può comportare gravi ripercussioni.

Da un lato il disappunto dei genitori è vissuto dal figlio come un’ingiustizia. E dall’altro i genitori vivono la loro esperienza educativa quale un fallimento completo: si sentono cioè di aver sbagliato qualcosa.

Nasce pertanto un equivoco con conseguenze a breve termine decisamente disastrose. Durante l’adolescenza poi, il senso di inadeguatezza può crescere a tal punto da portare ad una incomunicabilità forzata.
E già l’adolescenza è cammino complesso: cerchiamo almeno di non complicarci la vita.

Ma c’è di peggio.

Infatti, l’ipotesi che abbiamo appena descritto, prevede che il figlio si renda conto del pregiudizio che gli gravita attorno. Ma nella maggior parte dei casi, quando siamo giovani non abbiamo le risorse per comprendere fino a che punto un certo tipo di pressione latente possa influenzarci, oppure semplicemente non abbiamo la forza di ribellarci.

Quindi, seppur secondo una modalità inconscia e a tratti di difficile identificazione, la vita di questi ragazzi comincia a prendere una piega che in realtà non apparterrebbe loro per natura.
Si comincia dalla scelta delle scuole superiori, poi si prosegue con l’università. Nel frattempo il giovane si convince di aver preso una direzione indipendente e volontaria. Ma spesso non è così.

I problemi infine riemergono verso la mezza età, quando il non-più-ragazzo si rende conto che a vent’anni avrebbe voluto studiare fisica invece di giurisprudenza.

Lasciar agonizzare le proprie aspettative sui figli è doloroso, ma è anche sano. Istintivamente, qualunque genitore vorrebbe che il figlio si rispecchiasse in lui. Ma ad un certo punto, compiuto il ruolo educativo di base, è necessario lasciar andare le briglie e limitarsi a ricoprire un ruolo affettivo.

Sostenere le scelte.

Simone

[Ho già parlato del ruolo del padre in questo articolo: La figura del padre – L’evirazione di Urano]

Il tempo lineare – Tradizione giudaico/cristiana

All’inizio del nostro itinerario mitologico, ci eravamo occupati di introdurre con accuratezza la concezione del tempo per la civiltà greca.

Volendo riassumere quanto già detto, secondo le prime popolazioni arcaiche il tempo sarebbe stato caratterizzato da un andamento circolare.

Credere a questo continuo rimanifestarsi degli eventi, non è affatto un’idea astratta.
Infatti, tutti i grandi fenomeni della vita e dell’universo, già all’epoca osservabili senza grandi sforzi, sono caratterizzati da un ritorno eterno: basti pensare al succedersi delle stagioni, piuttosto che delle fasi lunari.

Ora, la tradizione giudaico-cristiana introduce un concetto determinante, in grado di ribaltare la visione appena descritta: la Creazione.

Non tanto l’atto di originare il mondo in senso generale, e di conseguenza anche l’umanità. Ma piuttosto la creazione dell’uomo affinché abbia il dominio sulla Terra e sulle specie che la abitano.

Pertanto a questo punto sorge una prima grande differenza: laddove secondo i Greci l’uomo viene partorito dalla Madre Terra, il testo biblico parla invece di un atto di volontaria creazione.

Questo significa che i Greci erano ben convinti del fatto che l’uomo fosse parte di quel meccanismo ciclico universale.
L’umanità è solo uno dei tanti elementi che concorrono alla composizione della natura e in quanto tale, non può sottrarsi alle sue leggi inappellabili.

A tale ‘avverarsi incontrovertibile’ della natura davano il nome di Ananke, ovvero Necessità.

Con l’atto della divina creazione, la tradizione giudaico-cristiana chiama fuori l’uomo dalla natura. Egli diviene soggetto della storia del mondo poiché viene fornito di uno Scopo. L’umanità esiste in vista di un compimento finale.

Ritornando alla concezione del tempo. La Creazione sancisce l’inizio della storia della civiltà, evento irrintracciabile nel cieco ripresentarsi delle cose naturali. Ma se esiste un passato storico (Adamo ed Eva), allora deve esistere un presente e non di meno un futuro. Ogni evento accade secondo una funzione lineare: non è dunque ripetibile.

È bene tenere a mente queste nozioni, poiché al giorno d’oggi, credenti o meno, siamo tutti guidati da una concezione finalistica della storia.

Nessuno crede più di essere parte della natura, né che l’uomo sottostia a chissà quali leggi universali che regolano il cosmo.

Siamo pienamente convinti che la storia dell’umanità, divergendo da quella delle restanti cose del reale, sia inscatolata verso un destino ultimo.
Ciò è valido sia su dimensione individuale, dove l’esistenza del singolo deve avere uno scopo, sia su scala globale, nel momento in cui si riconosce un progresso della civiltà.

Alla fine, al di là delle interpretazioni storiche del concetto di tempo, rimane ancora da capire che cosa davvero si intenda per tempo, e se in fondo esista sul serio o sia solo una nostra convenzione.

Simone

[Ho parlato di tempo ciclico in questo articolo: Il tempo ciclico – Dea Madre]

La figura del padre – L’evirazione di Urano

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Saturno taglia i genitali al padre Urano, Giorgio Vasari

Con il trionfo del patriarcato, si apre la dinastia di Urano.

Per prima cosa egli scaccia i suoi figli Ciclopi nel lontano Tartaro, un luogo tanto distante dalla terra quanto dal cielo.

Per punire Urano, la Madre Terra gli scatena contro la violenza dei Titani, anch’essi loro figli.

Importante ricordare che i Titani, altro non sono se non le sette potenze planetarie che già comparivano nel mito matriarcale di Eurinome. È dunque chiaro come alcuni tratti di diverse mitologie possano mantenersi nel tempo, magari reinventati sulla base del credo dominante in ciascuna epoca.

Ritornando al mito, è a questo punto che arriva la svolta determinante: Crono (Saturno per i latini), il più giovane dei sette fratelli, è chiamato a evirare il proprio padre, afferrandone i genitali con la mano sinistra, poi recisi con una falce.

Un paio di considerazioni.

Da quel momento, la mano mancina diventa portatrice di infausti destini, attraversando superstizioni popolari che durano fino ad oggi.

Ma soprattutto: qual è il significato dell’evirazione di Urano?

È da notare che Crono, invece di combattere con forza il proprio padre fino ad assassinarlo, decide di privarlo nel sonno dei propri organi riproduttivi.

Per quale ragione?

Questa è una delle prime rappresentazioni letterarie dell’uccisione simbolica del padre: affinché il figlio possa imporsi come altro dal genitore, deve privarlo della sua mascolinità. Di fatto, il figlio priva il proprio genitore maschile della sua paternità, impedendogli future procreazioni.

Ma l’atto estremo compiuto da Crono, non è per nulla immotivato: egli infatti incarna il simbolico ritorno dei Ciclopi in seguito alla cacciata.

Allora tutta questa trattazione mitologica non è altro che un lucido richiamo al ruolo del padre.
Un richiamo che riecheggia nel tempo ed è oggi, più che mai, vitale averlo ben presente.

Secondo natura, il padre esiste per essere diverso dal figlio.
Genitori che vestono come i figli, che si comportano come i figli, genitori che cercano di instaurare un rapporto amichevole con i propri figli, non potranno mai ricoprire un ruolo educativo di rilievo durante l’infanzia e la prima adolescenza.

Infatti la figura del padre può sopravvivere solo finché è in grado di dettare una legge educativa: Urano che impone il Tartaro ai Ciclopi.

L’allontanamento del figlio è il fenomeno adolescenziale più comune. Fra le altre cose, ricordiamoci che i Ciclopi sono esiliati in una terra distante tanto dal Cielo (Urano loro padre), quanto dalla Terra (la Dea loro madre).

Che cos’è questa, se non la sfida adolescenziale per eccellenza?

Nel loro Tartaro, i ragazzi intraprendono un cammino alla ricerca del proprio Sé. Non deve dunque stupire la turbolenza emotiva di quegli anni. È assolutamente normale che si verifichi un’incomprensione comunicativa fra genitori e figli.

La difficoltà per i genitori nasce quando i figli trovano quella loro unicità, poiché la loro essenza muta.
Adesso hanno un’identità. Sono un Io.

E ciò non può che causare il superamento delle figure genitoriali, poiché esse esistono per lasciar spazio alle generazioni che seguono.

Tuttavia, serbando un po’ di pazienza, passati forse i venticinque anni, i figli ritornano.

[Per un rimando ai precedenti miti che ho citato in questa sede:
Gli astri erranti – Eurinome
Il mito patriarcale – Urano]


Simone Redaelli è uno scrittore freelance presso Culturico e uno YouTuber presso Simone Redaelli

Il mito biblico della Creazione: i due alberi

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Genesi 2:7 – 2:9

“Dio il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente.
Dio il Signore piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato. Dio il Signore fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.”

Nel mito matriarcale di Eurinome, si dichiara esplicitamente che il primo uomo nacque dal terreno.

Stessa sorte nel libro della Genesi, dove l’uomo ha origine dal suolo. Non a caso, anche nel linguaggio comune, tuttora si suol ripetere il biblico “ritorneremo polvere” poiché da essa siamo venuti.

Infatti, in ebraico ‘terra’ si dice adamah, termine dal quale deriva adam (uomo), nonché primo uomo: Adamo.

Un punto importante: l’uomo non nasce dal nulla, l’uomo non viene creato a priori del mondo. L’uomo anzi prende le mosse dagli elementi che costituiscono il mondo.

Veniamo ora al dilemma dei due alberi: l’umanità coglie il frutto proibito dal seme della conoscenza. Quello che è riconosciuto come il peccato originale, in realtà sottende il primo salto dell’uomo e della donna all’interno del cammino verso la conoscenza.

D’altronde qualsiasi passo in avanti dell’umanità prende le mosse da un errore intelligente.

Ma che cosa ne è dell’albero della vita?

Sebbene all’uomo non sia proibito nutrirsi di quei frutti che gli darebbero l’immortalità, egli sceglie il dolore della conoscenza.

Pertanto potremmo dire che prima del peccato originale, in realtà esista una scelta originale: godere in eterno della beatitudine del giardino, oppure mettersi in cammino?

Qualunque persona che si rispetti, chiunque getti uno sguardo un po’ più lungo su di sé, comprende che per l’essere umano, la vita terrena non può essere all’insegna dell’immortalità.

Essere immortali sulla Terra, significherebbe essere al contempo immobili.

Cerchiamo di capire: essere immortali, non vuol dire necessariamente vivere una vita fisica in eterno.
Gli animali ad esempio, sono dotati di un’anima che non percepisce lo scorrere del tempo. Questo significa che la loro cognizione del mondo, è sempre sul presente.
Il loro tempo non ha spessore. Niente passato, nessun futuro.

Pertanto gli animali vivono un’esistenza che è eterna.
Non si staglia mai dal paesaggio.
Non si sottrae al paesaggio per gettare su di sé, uno sguardo alternativo.

Bene, se abbiamo capito questo, allora la domanda che segue è: ma noi, vogliamo vivere così? Per natura, siamo fatti in quel modo lì?

E ancora. Risalendo al significato letterale della parola uomo, ci rendiamo conto che egli sta sulla Terra affinché il suo obiettivo di ricongiungersi con essa, di comprenderla profondamente, possa compiersi.

D’altronde la bellezza esiste per poter essere conosciuta, e la nostra intelligenza c’è per poter cogliere tale bellezza.

Simone

[Il testo biblico di riferimento è La Bibbia, Nuova Riveduta 2006, Società Biblica di Ginevra.]

Il mito patriarcale – Urano

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Le Cyclope, Odilon Redon 

È bene ricordare che cosa Pavese ci ha finora insegnato.

Un mito è il tentativo più diretto di ripercorrere il nostro incontro primordiale, ovvero ciò che accadde la prima volta che venimmo in contatto con le cose del mondo.

Allora, l’avvento del patriarcato viene ricordato come unione amorosa fra la Madre Terra (la nostra Dea Madre) e suo figlio Urano.

Urano prese il significato di Cielo, tanto che fecondò la Terra versando abbondanti piogge.

In realtà, questa simbolica unione non fu altro che il risultato di uno scontro feroce fra matriarcato e patriarcato: a seguito di abbondanti invasioni nella Grecia antica da parte dei sostenitori del dio padre maschile, nuove credenze si imposero e la storia della civiltà greca mutò.

Pertanto il mito può realmente aiutarci a ripercorrere quei principi primi sui quali crebbero civiltà molto complesse.

Ora, la prima generazione che nacque dalla Dea, vide la luce nei Giganti e nei Ciclopi: i figli quasi umani.

Mentre i Giganti presero forse il nome in ragione delle dimensioni delle catene montuose nella Grecia settentrionale, i Ciclopi costituirono con tutta probabilità una vera associazione di fabbri.

Il termine Ciclope infatti significherebbe ‘dall’occhio rotondo’. Questo appellativo richiama così l’antica usanza di impiegare cerchi concentrici per dar forma e dimensione a tazze e ad altri utensili metallici.

Non dobbiamo poi dimenticare che i mitici Ciclopi furono monocoli, rimandando così alla consuetudine da parte dei mastri ferrai di coprirsi un occhio per salvaguardarlo durante la forgiatura.

Ma tutto questo, che cosa ci insegna?

Anche solo immaginare che un mestiere potesse ispirare racconti di tale portata storica, addirittura in grado di giustificare la nascita del mondo, dovrebbe farci riflettere.

Nessuno sostiene che ci servano ancora dei miti per giustificare i nostri passi nella storia della civiltà.

Ma un po’ di gloria, forse?

Un altro di quei famigerati termini in disuso. Ma ci torneremo sopra.

A presto,
Simone

[Per maggiori dettagli sulla dimensione mitica dell’esistenza, rifarsi a 1. Ripercorrere i propri miti – Cesare Pavese
Il mito della Dea Madre è invece affrontato qui  Il tempo ciclico – Dea Madre]

Gli astri erranti – Eurinome

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Orphic Egg, Jacob Bryant (Wikipedia)

Vista la supremazia matriarcale, non stupisce che i primi miti pre-ellenici vedano una divinità femminile quale creatrice dell’universo.

Nasce così Eurinome, Dea di Tutte le Cose, la quale si sarebbe accoppiata con Borea, il Vento del Nord, rimanendo incinta. Da questa unione sarebbero poi nate tutte le cose del mondo.

Vorrei ancora una volta sottolineare l’idea che la gravidanza venisse considerata una vera unione con gli elementi di natura. Dal momento che al sesso maschile non era riconosciuto alcun merito in materia procreativa, semplicemente si pensava che le donne fossero fecondate dal vento.

Questa credenza può risultare bizzarra. Tuttavia non c’era motivo di supporre che il ripresentarsi della vita (un ciclo di nuove nascite) per l’uomo, dovesse verificarsi secondo modalità distinte rispetto a quelle delle piante, ad esempio.

E se riflettiamo sui meccanismi riproduttivi delle piante, è oggi comprovato che il vento ricopra un ruolo importante nel trasporto del polline.

Basandoci quindi sui fatti e sulle osservazioni possibili per l’epoca, alcune convinzioni non risultano poi così illogiche.

Dall’Uovo Universale che Eurinome depose, ne crebbero tutte le cose esistenti, inclusi ‘i sette pianeti visibili’ a occhio nudo dalla superficie terrestre: Saturno, il Sole, la Luna, Marte, Mercurio, Giove e Venere.

I popoli arcaici si convinsero che ciascuno di questi astri erranti governasse un diverso giorno. Così nacque la settimana come la conosciamo.

Tuttora, essi rappresentano quegli oggetti celesti la cui posizione nel cielo, sembra cambiare rispetto alle cosiddette stelle fisse.

Ora, se prendiamo i nomi latini che ne derivarono e li traslitteriamo in italiano, il gioco è presto fatto:

  • Lunae dies, ovvero Lunedì;
  • Martis dies, ovvero Martedì;
  • Mercuri dies, ovvero Mercoledì;
  • Giovis dies, ovvero Giovedì;
  • Veneris dies, ovvero Venerdì.

Saturni dies e Solis dies non sono sopravvissuti fino ad oggi, per lo meno non italiano. Sabato deriva dall’ebraico Shabbat, ovvero ‘giorno di riposo’ (si conserva Saturday in inglese), mentre Domenica è il Dominus dei, il giorno del Signore per ogni cristiano (ma rimane Sonttag in tedesco).

Ritornando al mito.

Un primo indizio interessante da rilevare riguarda le sembianze di Borea: mutò in serpente per unirsi a Eurinome.

Un secondo aspetto da non trascurare riguarda la gravidanza stessa: Eurinome partorì le cose del mondo, non le creò.

Ora, nella tradizione giudaico-cristiana ritroviamo un serpente ben più famoso per noi occidentali. È importante riflettere sulle differenze e magari ci ritorneremo più avanti.

Mi preme invece sottolineare su che cosa le civiltà pre-elleniche basassero le loro convinzioni rispetto all’origine del mondo: il loro era un mito straordinariamente naturale. Si rifaceva a quelle leggi di natura che secondo le possibilità dell’epoca, sembravano derivare dall’osservazione dell’universo.

Non stupisce quindi che il rapporto fra l’umano e il naturale sia stato il primo vero mezzo per risolvere il mistero conoscitivo del mondo.

Simone

[I riferimenti ai testi e l’articolo introduttivo sui miti greci, si trova qui: Il tempo ciclico – Dea Madre]

Il tempo ciclico – Dea Madre

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Giove e Teti, J.A.D. Ingres, Aix-en-Provence, Museo Granet

Dobbiamo fare uno sforzo serio per riconsiderare l’aspetto mitologico della nostra esistenza.

Per questa ragione, vorrei dedicarci una sezione a parte.

È inaccettabile che la grecità venga affrontata nei licei, per poi trasformarsi in un banale contenitore epico dal quale estrapolare esclusivamente delle storie pirotecniche.

Partiamo da un concetto molto semplice.

Le civiltà arcaiche (pre-elleniche) dalle quali la grecità prenderà poi le mosse, erano di stampo matriarcale. Questo significa che a detenere il potere era una donna. Gli uomini temevano la matriarca, e le obbedivano.

Ebbene, se guardiamo alla storia dell’occidente a noi più prossima, ci rendiamo subito conto che tale condizione, per molti secoli, si sia poi rovesciata.

Ma allora, in virtù di quale principio la matriarca occupava il gradino più alto della gerarchia sociale?

Qualsiasi culto nasce dalla necessità di confinare la realtà entro degli schemi interpretativi, in modo tale da concederci poi di avere un certo controllo su di essa.
In altre parole: il mondo è complesso, pertanto lo semplifichiamo. Così da non smarrirci al suo interno e non sentirci inadeguati.

E badate bene che questa operazione la compiamo tutt’oggi.

Ritornando a noi. La donna portava entro di sé, una complessità così grande da non poter essere spiegata: il miracolo della gravidanza.

La potenza generatrice femminile è dapprima acerba (giovinezza), poi fertile (età adulta) ed infine sfiorisce (vecchiezza).

A questo punto entra in gioco la straordinaria creatività dell’uomo arcaico.

Le tre fasi che abbiamo citato, non sono per caso ricapitolate dal succedersi delle stagioni?
Il ciclo mestruale di ventotto giorni, non ha forse la stessa durata del ciclo lunare? E poi ancora: luna nuova, luna piena, luna calante.

Dunque il gioco è presto fatto.

La donna deve detenere il potere poiché regge il mistero della ciclicità della vita, il ripetersi incessante delle cose del mondo.

La donna è la chiave interpretativa del mondo.

Dunque non dovrebbe stupirci sapere, che la prima vera divinità pre-ellenica fu la Dea Madre.

Simone

[Per questo contenuto e per quelli che seguiranno in tale sezione, le fonti alle quali rifarsi sono molteplici.
Al momento, come guida generale attraverso la dimensione greca, consiglio I miti greci di Robert Graves, Longanesi.]

Per approfondimenti: